L’etica delle immagini – tavola rotonda

A gennaio abbiamo realizzato una tavola rotonda on line, aperta a tutti, dove abbiamo approfondito l’etica in relazione alle immagini, dalla fotografia ai meme.
Lo fabbiamo fatto con fotografi e artisti ma anche con esperti di social senza tralasciare le questioni legali legate alla produzione e all’uso delle immagini.
I relatori sono fotografi operanti nei più disparati campi, foto editor, esperti social e curatori.

Questa tavola rotonda non è ad uso e consumo esclusivo di fotografi ed esperti, anzi!
Tutti noi usiamo e creiamo immagini – spesso subendole – in modo inconsapevole e pensiamo che in questo momento sia molto importante offrire un’occasione orizzontale di scambio e crescita, anzitutto come cittadini.
Quindi, sebbene chi opera nella comunicazione e nell’educazione può trovare un utile momento di crescita, abbiamo deciso di aprire a tutti questo momento di condivisione di saperi ed esperienze proprio perché le immagini e le narrazioni che creano riguardano tutti e meno siamo consapevoli più è facile cedere a usi e consumi impropri delle stesse.

Partner del progetto: Ankonistan, Hangar fotografico.

Buona fruizione!

Day #1 – relatori:

  • Valeria Pierini: Se tuo papà diventa un meme, saluti e introduzione.
  • Chiara Scardozzi: Vedere per credere: scienza e conoscenza tra fotografia e antropologia.


 

  • Federica Landi: Lo sguardo che occulta, riflessioni sulla bianchezza.

  • Michele Di Donato: Il legame tra senso, realtà e immagine nella fotografia contemporanea.

  • Stefano Sbrulli: La giusta distanza, esprimersi mantenendo il rispetto verso i soggetti ritratti.

Day #2 – relatori:

  • Laura Davì: Etica ed estetica. Hai detto buongiorno stamattina?

  • Martina Scalini: La violenza e l’etica. Raccontare la violenza attraverso i mezzi di comunicazione.

  • Valeria Pierini: J’accuse, proposte per una fotografia consapevole.

  • Virginia Glorioso: Diritto d’autore: una linea sottile tra leicità e scorrettezza.

l diritto d’autore è una branca del diritto privato, che ha lo scopo di tutelare i “prodotti” dell’attività intellettuale di carattere creativo che devono essere originali e inediti attraverso il riconoscimento all’autore originario dell’opera. Il diritto d’autore inoltre si applica a tutte le arti e non solo.

Questo è quanto in poche parole afferma la legge, ma l’argomento da un punto di vista “etico” è molto più complesso e la linea di confine tra ciò che sia lecito e cosa no appare ancora oggi estremamente labile.

Il tema del diritto d’autore affonda le sue radici molto indietro nel tempo. Nasce, in qualche modo, nel momento in cui l’uomo si rende conto che ciò che realizza non necessariamente ha uno scopo pratico, ma non per questo meno importante o degno di difesa.

Di seguito troviamo un piccolo excursus storico che spiega concretamente il fenomeno legislativo.

Antica Grecia: viene riconosciuta la paternità dell’opera. Qui la figura dell’autore e dei suoi “diritti” esistevano già

1455: nascita della stampa a caratteri mobili (viene quindi concesso il potere di esclusiva di stampa). L’invenzione della stampa a caratteri mobili di Johann Gutenberg è stata di estrema importanza.

XV secolo: sistema dei Privilegi: Giovanni da Spira è il primo a ricevere il privilegio nel 1469.

1710: Statuto di Anna: È stato promulgato nel 1709 ed è entrato in vigore il 10 aprile 1710. E’ considerato il primo statuto completo sul copyright.

1791: Legge Le Chapelier: Abolisce le corporazioni, l’apprendistato, introduce un delitto di coalizione penalmente perseguibile. Il diritto d’autore vale fino a 5 anni dopo la morte dell’autore.

1793: Legge Lakanal: Prolunga ai 10 anni dopo la morte la valenza del diritto d’autore.

1840: Convenzione Austro-Sarda: Il diritto d’autore supera i confini statali.

Sappiamo bene come aldilà delle leggi scritte ci siano stati, e sempre ci saranno, artisti che hanno “dichiaratamente” preso forte ispirazione da un altro artista. Ma quale è la differenza tra “ispirazione” e “copia”?

L’inspirazione è come un punto di partenza da cui l’artista parte per poi approdare in nuovi mondi, assolutamente personali. L’ispirazione richiede ricerca e impegno. Nell’ispirazione c’è un non so che di “artigianalità” intesa come lavoro minuzioso e dettagliato nel costruite un determinato oggetto.

La copia, invece, è molto differente. La copia mette davanti ai nostri occhi la consapevolezza da parte di chi la realizza di non sapere che strada intraprendere. 

Ora se tutto questo può essere chiaro davanti ad un oggetto specifico decisamente più complesso è con le arti. E proprio questa labilità ha fatto nascere fenomeni come quello dell’Appropriation Art.

L’Appropriation Art o Citazionismo è una corrente artistica che teorizza un ritorno alla manualità. Il Citazionismo ragiona sul fatto che sia possibile guardare al passato senza gerarchie e misurarsi direttamente con lui. Oltre però alla citazione libera, alcuni autori si sentono autorizzati ad “appropriarsi” di opere altrui ragionando proprio sulla differenza tra copia ed originale. Tutto, per questi artisti, è lecito dal momento in cui decidono di usare determinate immagini per fare arte.

Sherrie Levine è una delle più importanti interpreti di questa corrente. L’artista americana prende opere celebri e con un approccio femminista ridiscute il lavoro di quelle opere. L’idea è quella di prendere opere realizzate da artisti uomini e ragionare insieme sul valore di quei lavori.

Un esempio celebre è quello di Fountain, opera che “si ispira” ad un’opera di Marcel Duchamp.

Questo lavoro ci catapulta in modo molto diretto al centro della questione. Si tratta di una copia o di un’ispirazione? Può un’operazione del genere essere considerata arte? Può un artista “primario” accettare che la sua opera venga così tanto usata a modello? Chi lo stabilisce il limite, l’artista o la legge? Nell’opera Fountain, Levine realizza un chiaro omaggio al celebre readymade di Duchamp. In questo caso l’unica differenza sta nell’utilizzo di un materiale nuovo. Usare il bronzo, per l’artista, è una mossa per “elevare” l’opera ad oggetto d’arte unico e prezioso. Ribaltando la questione posta da Duchamp stesso. Se in questo caso il citazionismo esplicito non ha avuto conseguenze particolari, in altri casi l’artista non è stata così tanto fortunata. E’ il caso della serie fotografica dal titolo After Walker Evans.

L’intera serie propone le fotografie di Walker Evans, rifotografate da Levine senza nessuna manipolazione. Le fotografie di Evans – diventate famose grazie al suo progetto Let Us Now Praise Famous Men – sono considerate il documento fotografico più importante della povertà delle zone rurali americane durante la Grande Depressione. In questo caso l’operazione di Levine ha avuto delle conseguenze legali, infatti la società che si occupa di tutelare le opere del fotografo, ha visto la serie come una violazione del copyright e ha acquisito le opere di Levine per vietarne la vendita. Oggi le opere di Levine sono di proprietà del Metropolitan Museum of Art di New York. L’appropriazione da parte di Levine delle immagini di Evans è diventata da allora un segno distintivo del movimento. L’obiettivo dell’artista era quello di ridiscutere la “paternità” della foto e concentrarsi sul potere dell’immagine. Rifotografando e femminilizzando nuovamente questa serie, Levine rende le immagini più trasparenti nel loro messaggio.

Con operazioni simili i rischi che si corrono sono diversi, tipo che l‘opera non sia considerata “originale” o che non si riesca a “riconoscerne” il valore creativo.

In questo modo si incorre nella violazione di diritti economici e morali dell’artista dell’opera originale che è stata utilizzata e richiamata nel lavoro “appropriativo”. Ciò comporta, nel migliore dei casi, il solo risarcimento del danno. Nei casi più seri può portare anche alla distruzione dell’opera.

L’aspetto interessante dell’argomento è che i due mondi, quello artistico e quello legislativo, appaiono chiari nella forma ma nella sostanza ogni opera è a sé. Solo realizzando le loro opere, con le loro “appropriazioni” gli artisti potranno capire a cosa vanno incontro. La questione su cui mi preme riflettere è che a tutto questo non c’è risposta. Rimaniamo in un limbo che rende il terreno decisamente scottante, soprattutto se questo si applica ad artisti non storicizzati.

Quale è il limite? Fino a dove si può spingere un artista? A queste domande non c’è una sola risposta ed ognuno di noi può avere la propria opinione. Credo, però, che gli artisti non debbano avere limiti nella realizzazione delle loro opere, ma che l’unica cosa che debbano fare e accettare le eventuali conseguenze legali ed etiche che il loro lavoro può comportare.

Il tema rimane aperto e solo ad opera realizzata possiamo capire se siamo davanti una copia, un’ispirazione o un “appropriation artist”!

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