Take a picture

Fotografia sperimentale tra acqua e psiche: quando è la tutor che per prima sperimenta con la classe.

Questo è il brainstorming fatto con la classe del corso con Iconica Gallery per scegliere una tematica comune da sviluppare, poi, ognuno secondo i suoi modi, con le foto da fare all’uscita. C’è un nota bene: il progetto finale del corso non è l’uscita! E’ l’inizio, perché la classe è invitata a continuare la propria ricerca, ampliandola, almeno provarci, prima della fine del corso. Un modo, questo, per portarla dentro al processo creativo che non può risolversi con un’uscita. Non in un corso che non è più base ma avanzato. 

Parto munita di Campsnap. Ci penso da un po’ di usarla per alcune mie sperimentazioni. Tuttavia, non avevo l’intenzione di portare a casa delle foto ma di divertirmi, raccogliere spunti e idee, al massimo, anche in vista del workshop di luglio, dove insieme a Lorenzo Montagnoli, faremo lavorare la classe proprio con le Campsnap.

Le paludi mi colpiscono una volta che le vedo dall’alto e arrivati nel luogo della prima esplorazione resto catturata esclusivamente da un particolare: le acque, ora ferme, ora increspate dal vento o dagli animali, dalle quali traspaiono le piante, le nuvole che vi si riflettono. Tutto insieme, alto e basso.

Mi viene in mente di tentare la stampa di queste foto sulla carta da disegno di studio, usando la stampante di studio e poi di acquarellare le foto. E’ uno degli usi che mi interessano della Campsnap: non il filtro vintage ma il mirino, come funziona il mirino. Penso che gli specchi d’acqua nelle tradizioni simboliche e alchemiche di mezzo mondo sono gli occhi della Terra, rappresentano la psiche, acque buie, torbide e misteriose. Un metafora perfetta del dentro.

A studio, capisco che le mie foto hanno catturato l’unione di due opposti: il caos di cielo e terra insieme – ‘forse è così che si vede guardando nel e dal pozzo’, ‘forse la psiche vede così’. La scelta di acquarellare le foto si rivela fortunata perché rafforza questa unione di opposti e li trascende.

Quello che mi piace di questa forma di ibridazione è che mi permette di lavorare subito. Se da una parte con la Campsnap non posso vedere le foto, se non dopo averle scaricate su pc o cellulare, una volta nel mio studio, posso stamparle subito e lavorarci, fino al file definitivo scansionato, in attesa, di essere stampato in fine art. Sono una fotografa, atipica, certo, ma nonostante le sperimentazioni, ibridazioni e peregrinazioni, alla fine, mi piace sempre tornare alla fotografia, ad una restituzione dell’opera che non sia solo mediata dalla macchina fotografica ma dalla resa tattile e visiva delle sperimentazioni e che sia di qualità. La stampa fine art è il banco di prova. Se regge la fine art ci siamo. (E vale per qualsiasi altro supporto di qualità che potrei usare). Questo anche per due motivi: il primo è che da fotografa non sono abituata a pensare al pezzo unico, sebbene ci tenga molto alle tirature e a fare in modo da distinguere il mio lavoro dalle stampe in serie; in secondo luogo è una sfida intellettuale e tecnica. Mi piace lavorare con materiali semplici e immediati e resto convinta che la sperimentazione e le installazioni si possano fare anche con delle fotocopie – se lo script del lavoro lo chiede – ma credo che sia necessario trasferire queste mie opere, per quanto concettuali e sperimentali, su un supporto duraturo e dignitoso del mio lavoro. Qualsiasi sia il supporto, la stampa deve reggere.

Take a picture è il mio quaderno di fotografia sperimentale. Un’archivio di foto a cadenza anarchica che si rivela fruttuoso e ricco di spunti, didattici e artistici.

Valeria Pierini

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