idf/academy: LFLETQ, World photography day

(Riflessioni sulla Giornata mondiale della fotografia 2020)

Il precedente: curiosando in rete si trovano molti articoli che cercano di celebrare la fotografia, che parlano del potere di contribuire alla memoria della stessa, o di come ‘grazie alla pandemia’ la fotografia si sia riscattata, diventando un mezzo prepotente per raccontare il presente’, come se fino a febbraio 2020 fosse relegata in un angolo.
Tutte cose vere ma parzialmente vere, secondo me.

Tecnicamente la fotografia è l’arte di ottenere immagini attraverso la luce. Pertanto oggi è la giornata di tutti i procedimenti figli di questa tecnica (altrimenti facciamo solo la festa del dagherrotipo visto che stiamo usando la data della sua nascita per celebrare la fotografia). Dico questo perché siamo rimasti, almeno in Italia, a preconcetti errati portati avanti da una certa ortodossia nonché perpetuati da molti illustri esponenti di questo mezzo, probabilmente perché se ammettessero le cose come stanno a livello ontologico, la loro importanza verrebbe meno. Siamo talmente evoluti che siamo in grado di fotografare la realtà anche attraverso lunghezze d’onda che non sono visibili all’occhio umano, addirittura facciamo fotografie attraverso il suono. Lo dico, in primo luogo, perché questi procedimenti sono figli dell’innovazione tecnica chiamata fotografia e per amor di conoscenza va detto; in secondo luogo, lo dico per rispetto di tutti gli artisti che hanno usato queste più disparate forme e applicazioni del fotografico.
Detto ciò, il discorso che associa la fotografia al racconto o alla capacità di tenere memoria è solo una parte delle cose che la fotografia permette, è un investimento di senso socialmente condiviso e anche sacrosanto, ma non è l’unica declinazione del fotografico, come anche quella narrativa: da qualche anno si parla tanto di storytelling, visual narrative e cose simili: tutti discorsi vecchi quanto l’uomo, vedere le pitture parietali e leggere l’Iliade per credere (per dare una botta alle immagini e una alle parole). In sostanza, sarebbe il caso di scrivere correttamente articoli di senso compiuto, articoli approfonditi e non pagine e pagine di retorica colma di sentito dire e frasi da cartoline. E sarebbe il caso di scriverli sempre, non solo per un giorno l’anno.
Forse senza la fotografia Internet non sarebbe così preponderante nelle nostre vite. I Social non avrebbero la loro forza e molte persone si troverebbero hobby diversi (consiglio qualsiasi testo di Joan Fontcuberta per credere). La fotografia racconta la realtà da quando è nata, da quando qualcuno l’ha investita di questo compito, leggendone una potenzialità in questo senso, proprio perché l’oggetto della fotografia è la realtà che riflette una qualche lunghezza d’onda da catturare con l’apposito dispositivo (vedi sopra).

Un dato che ha causato un grande fraintendimento, investendo la fotografia dell’annoso compito di dire la verità. A suon di coraggiosi eroi, filosofi e fotografi, siamo riusciti ad affermare, almeno, a chiare lettere che la fotografia, forse, se è strumento di qualcosa, è strumento di menzogna. Un’esasperazione, forse, questa, che però ci serve a ribadire che la fotografia non è imparziale e oggettiva, da nessun punto di vista. Se qualcuno si degnasse di scrivere cose approfondite anziché acchiappaclik svolgerebbe un servizio utile.
Tornando ai discorsi sul World Photography Day e la pandemia: il fatto che il virus sia invisibile ha portato molti a dire che la vicenda contemporanea è infotografabile. Partiamo da un presupposto molto basico: un virus si vede e fotografa al microscopio (erede della fotografia e della scienza ottica) quindi di base questa affermazione è già sbagliata. Certo, opportunità non accessibile a tutti, ma comunque realizzabile (grazie anche alla found photography e Internet e alle pratiche post fotografiche di derivazione Dada). Altri, invece che farsi atterrire da questo fatto, hanno raccontato la vicenda da molteplici punti di vista: come fotografo/racconto qualcosa che non si vede? Attraverso la rappresentazione indiretta, come fanno ad esempio gli astronomi, che catturano immagini del cosmo in modo indiretto (altra applicazione del fotografico), loro lo fanno in modo ‘scientifico’ attraverso raccolte di dati matematici ai quali gli fanno corrispondere delle immagini e delle fotografie. Al di là della scienza, chi usa la fotografia per raccontare in modo indiretto, evocativo, un virus o qualsiasi altra cosa ‘che non si vede’ è ovvio che non lo faccia in maniera scientifica o didascalica, piuttosto spesso in modo poetico (uso ‘poetico’ intendendo il senso di astrazione tipico della poesia, attraverso il quale ci si stacca dalla mera immanenza realtà per dire cose importanti in modo divergente, attraverso figure retoriche, e immaginazione, ovvero usando la creatività). Altrimenti se assumessimo che qualcosa che non si vede non possiamo fotografarlo e raccontarlo, dovremmo buttare anni e anni di ricerche e opere del tutto valide. Nemmeno le emozioni sono proprio visibili, se ci pensiamo, ma pensate ai fior fiori di lavori dedicati alla depressione! (abbiamo riempito moltissimi festival di fotografia con bellissimi reportage riguardanti malattie o stati emozionali/mentali). Se usassimo questo assunto del vedo = fotografo anche per le parole (ovvero vedo = racconto), la nostra lingua e la nostra letteratura, oltre che la nostra fotografia, sarebbero a dir poco primitive. E’ grazie alle immagini e all’immaginazione che oggi siamo a questo punto: sociale, culturale, tecnico scientifico, in sostanza che siamo evoluti. Pensiero, memoria e capacità immaginifica ci permettono di vedere immagini e produrne altrettante, a volte, senza scattarle ma pescandole dal mare magnum del già prodotto, promuovendo una sorta di ecologia delle immagini.
Sarebbe bello, durante questa giornata, celebrare tutte le forme di fotografia o nessuna, senza fare discorsi da romanzetto rosa, pseudo romantici sulla verità, sulla cattura di un attimo, evitando anche di far pendere gli articoli che scriviamo da una parte (dicendo cose anche errate per la gioia di quello o l’altro fotografo o per aumentare le visualizzazioni dei tag Covid per la testata del giornale tal dei tali). La fotografia raccontava anche prima della pandemia ma forse non tutti quelli che ci badano ora ci badavano (sicuro il Covid-19 ha fornito i giornali di un mare di fotografie da usare gratis grazie ai molti fotografi che le concedono gratis, nonostante il periodo di costrizione che ha bloccato il lavoro, tranne di qualche decina di fortunati eletti.) Un giornalismo pigro questo, tendenzioso ed errato.

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